Guardando alcuni programmi in televisione o anche solo confrontandoci con molti proprietari di cani, ci accorgiamo che la parola “capobranco” viene utilizzata moltissimo; tuttavia il significato del termine è ambiguo. Il capobranco sembra appunto colui che si impone con la forza sui suoi sottoposti, un membro più forte fisicamente che comanda tutti e di cui tutti hanno paura. Questa definizione dà un’idea completamente sbagliata della struttura sociale canina e fornisce al proprietario indicazioni scorrette su come dovrebbe relazionarsi con il cane.
Potremmo invece sostituire il termine “capobranco” con quello di leader.
Il leader, a differenza del capobranco, non si impone con la forza, ma si fa accettare dal gruppo poiché è stimato ed accreditato da quest’ultimo. Il leader è eletto dal gruppo stesso poiché riconosciuto come membro più saggio e competente, dunque rispettato poiché vi è fiducia verso di lui e non timore nei suoi confronti.
In un branco di cani randagi il leader non è colui che comanda, non è un despota che si impone con la forza. È un membro del gruppo (solitamente il più anziano), che gestisce e coordina gli altri cani e che indica loro come comportarsi e come concertarsi per affrontare insieme il problema. Il leader è colui che è abbastanza saggio e solido da poter ragionare su cosa fare e su come agire per il bene di tutto il gruppo. Solitamente il coordinatore non agisce con azioni enfatiche, ma effettua piccoli gesti (marcature urinarie, sguardi, assunzione di determinate posture nello spazio…) con cui comunica agli altri elementi del gruppo come agire. Ad esempio, se il branco deve confrontarsi con un altro branco incontrato nel suo stesso territorio, il leader prenderà le informazioni olfattive del gruppo estraneo e saprà dare diverse indicazioni alla sua famiglia canina: dove disporsi nel territorio, chi mandare ad incontrare i cani, chi è il cane Alpha di quel branco, se sia meglio confrontarsi oppure ignorare il gruppo sconosciuto… Saranno poi gli altri componenti ad agire secondo le indicazioni del leader.
Queste dinamiche si ricreano anche nei gruppi di cani “amici”: quando il nostro cane frequenta assiduamente un gruppo di conspecifici e fa esperienze insieme a loro, si crea una profonda affiliazione, in cui ogni membro del branco assume un ruolo preciso. Essendo che i nostri cani non frequentano un solo branco canino, il ruolo di un soggetto può cambiare a seconda del gruppo con cui sta affrontando l’esperienza. Ad esempio, un cane solido può assumere il ruolo di Alpha in un gruppo e può invece essere un gregario (colui che segue e si affida al leader) in un altro gruppo, dove l’Alpha è invece un elemento ancora più solido e competente di lui. Dunque i cani non si contendono il ruolo di leader per prevalere gli uni sugli altri, ma si spartiscono i compiti poiché hanno come obbiettivo la salvaguardia del gruppo.
Tuttavia, talvolta, anche l’Alpha si deve spendere per azioni “forti”, che a noi potrebbero sembrare aggressive. Se un soggetto giovane fa un’azione sconsiderata che potrebbe essere dannosa per gli altri, viene bloccato dal coordinatore (o anche dagli altri elementi) in maniera brutale, ma è difficile che venga ferito.
Spesso vediamo un cane che si relaziona ad un altro cane ringhiando, bloccandolo con la bocca e a volte costringendolo a rimanere a terra immobile per qualche istante. Quest’azione potrebbe sembrarci aggressiva, ma in realtà è solo una lezione chiara e fondamentale che gli adulti insegnano ai piccoli (e che non prevede mai il morso da parte dell’adulto).
Analizziamo ora le dinamiche relazionali del rapporto: cane-uomo e più generalmente cane-gruppo familiare umano. Prima di tutto è necessario specificare che non si può parlare di capobranco. Questo termine risulta obsoleto ed inesatto, soprattutto perché il branco è formato da un gruppo di cani. Noi non apparteniamo alla specie canina; quindi l’animale forma con noi e con gli eventuali altri membri della famiglia un gruppo affiliato i cui rapporti sono molto profondi ed intimi, ma non sono completamente paragonabili a quelli del branco puramente canino. Anche nel gruppo familiare ogni elemento avrà il suo ruolo distinto, ed è corretto che anche il cane trovi il suo posto e dunque il suo ruolo all’interno della famiglia. Tuttavia, le nostre regole sociali sono ben diverse da quelle canine: noi non abbiamo bisogno di concertarci in gruppo per andare a caccia o per scacciare un intruso dal territorio poiché la nostra società ci propone diverse dinamiche di confronto con l’altro.
Anche il termine capo, inoltre, risulta poco corretto. Nella nostra società vi sono regole ed abitudini che il cane da cucciolo ancora non comprende, ed imporci con la forza e con la costrizione è sbagliato e dannoso. Dobbiamo essere dei leader che guidano il cane nel mondo, che gli insegnano a parlare un linguaggio diverso e che lo aiutano a vivere in un contesto completamente differente rispetto a ciò che prevede la sua natura. Come nel branco di cani, anche nel gruppo sociale umano l’animale deve accreditarci e rispettarci, ma mai temerci.
E’ attraverso la fiducia che si costruirà il rapporto, ed attraverso l’accreditamento diventeremo un leader agli occhi del nostro animale. Quest’ultimo, dunque, si affiderà a noi poiché sa che noi conosciamo la giusta soluzione a molte problematiche e delegherà a noi il compito di gestire il gruppo.
Tuttavia, io credo che, talvolta, sia anche costruttivo ed emozionante ascoltare il nostro cane e farci guidare da lui; ad esempio, possiamo fargli decidere che strada prendere nei boschi e vedere dove il suo naso ci porterà, possiamo ascoltarlo quando ci comunica che preferisce non incontrare un conspecifico, possiamo imitarlo ed assecondarlo quando ci chiede di giocare… insomma ogni tanto possiamo smettere di essere leader e diventare solo compagni di vita, poiché è solo inter scambiandosi i ruoli che si crea una relazione profonda ed equilibrata.
Facciamo un esempio pratico: se chiediamo al nostro cane di svolgere un esercizio, come ad esempio di sedersi, ed il soggetto non lo esegue subito non dobbiamo farci prendere dalla collera né dallo sconforto. Non dobbiamo pensare che il nostro cane non sia capace di fare quell’azione, neppure arrabbiarci perché ci sta “disobbedendo”. Possiamo provare, invece, ad immedesimarci nel nostro amico e chiederci perché in quella situazione stia trovando difficoltà: ci sono troppe distrazioni attorno a noi? La superficie su cui dovrebbe sedersi è scomoda, oppure troppo calda o bagnata? Non sta capendo ciò che stiamo comunicando? Aiutando il soggetto a risolvere questi problemi e a svolgere in seguito l’esercizio assieme a noi, ci accreditiamo ai suoi occhi come colui che non dà semplicemente ordini, ma che è in grado di capire un disagio e di trovare una soluzione.
Ovviamente questo concetto non va applicato al singolo e banale esercizio, ma a tutto il percorso di crescita e di vita che facciamo affianco al nostro cane. Cerchiamo insomma di lasciare libero il nostro cane di scegliere, poiché quando lo faremo lui sceglierà sempre noi.
Sostituendo il termine “capo” con quello di leader, comprendiamo che anche il termine “dominanza”, che presuppone il dominare qualcuno attraverso il timore e la forza , è errato sia in un contesto di branco che in un contesto di relazione uomo-animale. Talvolta, purtroppo, viene utilizzato il termine “cane dominante” per giustificare moltissimi comportamenti del cane che spesso non sono neppure un atto di ribellione. Per esempio, un cane che attacca gli altri cani non è detto che li voglia comandare, anzi è molto più probabile che ne abbia paura e che dunque si difenda. Oppure, un cane che tira al guinzaglio o non ci aspetta per passare dalle porte potrebbe essere agitato , inquieto o eccitato per moltissimi motivi. Lo stesso soggetto che non delega al proprietario l’iniziativa e la gestione delle dinamiche quotidiane, non è “dominante per natura” ma ha semplicemente assunto il ruolo di coordinatore del gruppo poiché non ha accreditato abbastanza il proprietario. Dunque, il “cane dominante” non esiste e si potrebbe persino dimenticare il concetto stesso di dominanza, sostituendolo a quello di leadership e di gestione dei ruoli.
Per comprendere quale strada seguire con il proprio animale, o per comprendere meglio il mondo cinofilo in generale, è necessario fare chiarezza su alcune terminologie che spesso vengono confuse tra loro: educazione, istruzione ed addestramento.
Educare significa dare al cane indirizzi di crescita, ma lasciargli anche campo espressivo in modo che possa confrontarsi con il mondo e far uscire il suo vero carattere. La parola deriva dal termine latino “educĕre” ( “tirar fuori”; “allevare”), ed infatti educare significa proprio far emergere le vocazioni del soggetto. Ogni cane ha le sue vocazioni, che sono certamente influenzate dalla razza, ma che sono comunque diverse ed uniche per ogni individuo.
A questo punto, quando il soggetto ha scoperto le sue vocazioni, entra in gioco l’istruzione. Istruire, infatti, significa proprio fornire strumenti al cane per poter dar seguito alle sue inclinazioni.
Sia l’educazione che l’istruzione permettono al cane di essere sereno e competente nel suo ambiente di vita e di essere pronto a gestire eventuali cambiamenti del suo quotidiano; inoltre aiutano il proprietario ad essere riconosciuto come leader a cui l’animale delega molte responsabilità poiché si fida di lui e si affida a lui.
L’addestramento,invece, consiste nell’insegnare al cane a svolgere un’attività specifica, come un percorso di Agility o il salvataggio in acqua.
Questi tre percorsi sono utili, ma possiamo affermare che l’educazione e l’istruzione siano fondamentali; l’addestramento è necessario solo se si intende procedere verso un percorso sportivo o lavorativo con il cane.
Un cane addestrato senza aver prima conseguito un percorso educativo ed istruttivo, non è altro che una macchina finalizzata ad una prestazione. Ed ecco che nascono le espressioni come “cane da Pet Therapy”, “cane da esposizione”, “cane da salvataggio” …Queste professioni non sono assolutamente sbagliate, ma è fortemente errato imporle al cane e limitare la sua esistenza ed essenza a quella singola attività. Ecco perché educazione ed istruzione diventano indispensabili, perché prima di proporre al cane un lavoro dobbiamo aiutarlo a capire chi egli sia, e comprenderlo noi con lui.
Dunque, finalizzare la vita del cane ad una sola prestazione, significa non dargli affatto la possibilità di vivere. Ne è un esempio il cane che, al centro cinofilo, esegue tutti i comandi e le attività richieste e dunque vince tutte le gare di obbedienza. Ad occhi esterni, quel soggetto può sembrar godere di un’ottima relazione ed allineamento col suo proprietario; dobbiamo però chiederci se, inserito nel suo contesto di vita quotidiana, quel cane sia in grado di essere sereno e competente e se sia in grado di affidarsi al proprietario quando la situazione lo richiede. Infatti un cane che risponde ai comandi in un certo ambiente, ma che non ha campo espressivo in nessun altro, non è che una macchina funzionante per associazioni stimolo-risposta. In questo caso sono state ottenute molte prestazioni utili, ma è andata persa l’individualità del cane; se questo è il vostro obbiettivo, vi consiglio caldamente di rivolgervi a negozi come L’Euronics e di lasciar perdere allevamenti o canili.
Ora che abbiamo compreso i differenti percorsi di crescita ed i loro obbiettivi, dobbiamo collocarli correttamente nella vita del cane. Per iniziare, l’educazione è destinata ai cuccioli fino a circa sei mesi ed inizia già prima della nascita: anche solo accarezzare correttamente la pancia della madre incinta, fornisce al cucciolo delle esperienze che suscitano emozioni positive.
L’istruzione, invece, inizia con la preadolescenza (sette mesi circa) e sebbene abbia i suoi punti più critici durante il primo anni di età, continua poi anche nell’età adulta. Infine, l’eventuale (ma non indispensabile) addestramento deve iniziare quando il soggetto è già adulto, dunque dopo l’anno di età. Ovviamente ogni cane è diverso e cresce con modalità e tempistiche differenti, dunque bisogna sempre affidarsi ad un educatore (o ad un addestratore) e ad un veterinario per comprendere con esattezza in quale fase evolutiva si trovi un determinato individuo.
Abbiamo già compreso che il Leader non è il capobranco, che non bisogna pretendere dal nostro cane quanto piuttosto aiutarlo a comprendere ed insegnargli a fidarsi di noi. Ma come si costruisce una corretta leadership?
Il leader è, prima di tutto, colui che propone; dunque, per accreditarci agli occhi del nostro cane e per diventarne il leader, dobbiamo coinvolgerlo in molteplici esperienze da vivere insieme a noi. Se limitiamo la nostra vita con l’animale ad oziare sul divano ed a poche brevi uscite solo per fare i bisogni, non saremo mai nessuno ai suoi occhi se non colui che ogni tanto procura il cibo. La relazione, però, è molto più di questo: si basa sullo scoprire il mondo insieme, sul fare attività e giochi, ma anche semplici passeggiate lunghe ed appaganti (col telefono ben riposto in tasca!). Proponendo al cane molteplici esperienze, lo aiutiamo anche a comprendere il suo posto nel mondo ed il suo ruolo all’interno della famiglia. Infatti ogni elemento del gruppo ha il suo compito, ed è importante aiutare il cane a sentirsi utile per noi.
Il leader è colui che propone, ma anche colui che protegge e tutela. Dobbiamo dunque conoscere il più possibile il nostro compagno e riconoscere quando qualcosa lo preoccupa o lo mette in difficoltà. Ad esempio, se il vostro amico a quattro zampe è diffidente verso le persone, eviteremo noi per primi di farlo accarezzare da tutti i passanti. In questo modo lo aiuteremo a svolgere una passeggiata serena ed a comprendere che siamo noi a farci carico di quella situazione problematica.
Ovviamente le regole devono esserci, un cane ha fortemente bisogno di regole definite; tuttavia ci vuole coerenza nel dettarle, soprattutto se vi sono più persone in famiglia.
Per aiutare l’animale a rispettare le direttive del gruppo, cerchiamo sempre di non inibire e basta i suoi comportamenti; è giusto, a volte, sgridare e negare qualcosa, ma cercando sempre di proporre al cane una valida alternativa. Ad esempio, proponendogli un gioco da fare con noi in giardino invece di andare ad abbaiare ai vicini; oppure dandogli qualcosa da rosicchiare se non riesce a calmarsi in un luogo pubblico in cui dobbiamo sostare per un po’.
In conclusione, sono la fiducia, la propositività, i ruoli, la protezione, le alternative e le esperienze condivise i veri “premi” che il nostro compagno di vita gradisce ricevere da noi. La relazione è questo, un insieme di paradigmi che aiutano a formare un rapporto profondo ed intimo, a cui mai si potrebbe ambire con la semplice inibizione o col semplice premio alimentare. Certo, la strada può rivelarsi molto più impervia rispetto a quella del mero controllo o del semplice baratto col bocconcino, ma porta ad un risultato nettamente superiore a cui tutti possono ambire, guidando il proprio cane ma anche, spesso, lasciandosi guidare da lui.
Articolo scritto da Livia Carnazza